Qualche settimana fa in una storia su Instagram ho detto che gli albi illustrati non sono per adulti.

A questa mia affermazione, una cara lettrice ha risposto così:
Ma anche gli albi sono per adulti! Anzi, soprattutto quelli!
Sono d’accordo che ormai molti li producono apposta per un pubblico bambino ma io trovo che anche un adulto possa meravigliarsi di fronte ad un albo ben fatto: se piace anche agli adulti è sicuramente fatto bene.”
Da molto tempo ormai rifletto su quali sentimenti di soglia attraversino gli adulti quando entrano in una libreria per bambini. In questi dodici anni passati tra gli scaffali di radice-labirinto ho avuto la possibilità di osservare centinaia e centinaia di donne valutare, scartare, scegliere, innamorarsi e acquistare albi illustrati.
La maggior parte di loro entra in libreria perché madre o maestra, mentre le donne senza figli o con figli e nipoti già grandi sospirano dicendomi: “Peccato non avere bambini piccoli!”
Si direbbe quindi che la maggior parte del pubblico - prevalentemente femminile - che visita una libreria per l’infanzia lo fa per acquistare libri per i propri bambini e non per sé.
Allora perché la mia cara lettrice afferma che gli albi siano soprattutto “per adulti” lasciando per altro intendere che ormai i libri per bambini potrebbero essere destinati ad un publico più maturo?
Il fatto che molte donne si avvicinino oggi all’editoria per l’infanzia e acquistino libri per i propri bambini include la messa a punto di un particolare tipo di sguardo sugli albi illustrati, ma anche su se stesse: nel fondo di quello sguardo c’è uno specchio, qualcosa che rimanda alla donna adulta un’immagine amata e consolatoria.
Lo specchio, oggetto da sempre magico e ambiguo, è in tutte le fiabe, nei miti e nelle leggende, considerato un ostacolo alla verità, uno strumento capace di velare la vera essenza delle cose; così lo specchio in fondo allo sguardo della donna che si innamora dei libri per bambini le impedisce di guardare occhi negli occhi - o come direbbe San Paolo “faccia a faccia” - qualcosa di molto prezioso.
Affascinati dall’immagine che vediamo riflessa sulla lucida superficie, ci è quasi impossibile guardare oltre lo specchio, e d’altra parte se decidessimo di attraversarlo ci perderemmo dentro noi stesse. L’unica via d’uscita è mandarlo in frantumi, ma l’immagine che ci vediamo riflessa ci è troppo cara per farle del male: a guardarci di rimando è infatti la nostra “bambina interiore”.
Riusciremmo davvero ad andare contro noi stesse?
Di questa “bambina interiore” si è parlato tanto negli ultimi vent’anni, e con i social la sua immagine si è ulteriormente amplificata, diventando oggetto di una riflessione condivisa da un sempre maggiore numero di donne.
Nulla a che vedere con il “fanciullino” pascoliano, questa bambina è percepita come la parte più vera di noi, una parte sopita che sovente è stata da noi stesse nascosta nel profondo, quando non addirittura vessata. La bambina interiore chiede di essere vista, amata, abbracciata. È la bambina spesso arrabbiata che, dicono, ci potrebbe far ammalare di tristezza o di dolore se non le diamo ascolto o non la liberiamo.
Io non dubito della sua esistenza, ma credo che negli ultimi vent’anni sia diventata una figura esuberante e tirannica. Chi le dà troppo retta rischia di coccolare la parte di sé insieme più egoista e trasognata; per quanto riguarda nello specifico il mondo dell’editoria per l’infanzia, questa bambina è capace di sovrapporsi al bambino in carne ed ossa, disorientando il pensiero critico quando si tratta di scegliere un libro destinato ai giovani lettori.
La bambina riflessa nello specchio compie anche un altro sortilegio: sovrappone la sua coscienza alla vostra, provocando una sorta di infantilizzazione del rapporto che si intesse con il libro illustrato.
Così i meccanismi del piacere risentono più di un bisogno di consolazione e rassicurazione, e non riescono più a venir sollecitati da un’autentica ricerca di quei linguaggi letterari che sanno fare del bambino, in un albo illustrato, il loro interlocutore d’elezione.
Oltre lo specchio vi è lo Spirito dell’infanzia, il quale sebbene attinga alle sensazioni del tempo in cui eravamo bambine, si eleva da ogni personalismo per condurci ad un visione ampia e compassionevole.
Lo Spirito dell’infanzia ci consente di prendere una distanza dall’infanzia, e questa distanza quando ci troviamo di fronte ad un albo illustrato è quanto mai preziosa e salvifica, perché fa sì che noi possiamo guardare al libro per bambini preservando la nostra coscienza di adulte e adulti.
La coscienza di un bambino vive in un continuo “accadere”, ignora le categorie spazio e tempo e fa del gioco “il fin del poeta” - parafrasando un verso della celebre terzina di Giovan Battista Marino ”È del poeta il fin la meraviglia”. E da una certa prospettiva - in questo senso molto più affine e vicina alla visione pascoliana - il bambino è un poeta. Nella sua costante e spontanea ricerca di un linguaggio che dica il mondo, e nel suo perpetuo stupore per le cose, il bambino attraversa il tempo rinnovandolo. Giocare è la sua poesia, il suo fare, il suo mettere ordine e contemporaneamente rivoluzionare le regole del quotidiano, almeno per come gli adulti le hanno stabilite.
Questo bambino poeta però non ha nulla a che vedere con la meraviglia con cui oggi si veste l’infanzia nell’albo illustrato. Il bambino poeta è inconsapevole e tale deve restare. Nei tanti albi pubblicati dal mercato editoriale attuale c’è un continuo disvelamento, un lirismo che per assecondare l’adulto e quella bambina interiore, prova a raccontare e a disegnare per lui (e per lei) un mondo divenuto ormai inaccessibile.
Ma la letteratura per l’infanzia la si trova solo laddove si scrive per un bambino.
La bambina interiore desidera ardentemente vestire i panni del poeta perché ha necessità di ritornare a quel tempo in cui tutto pareva splendere. Ma la poesia è l’opera difficilissima di una coscienza adulta che a lungo ha tentato e studiato, ed è anche la più alta forma di linguaggio letterario. L’albo illustrato che oggi parla a questa bambina interiore tanto da farle credere che questa fetta di mercato sia dedicata a lei, è uno strano ibrido che si colloca tra un adulto bisognoso e un bambino irreale.