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La magia della parola

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La perdita dell'innocenza e la ricompensa dello spirito

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Alessia Napolitano
feb 24, 2025
∙ A pagamento
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La magia della parola
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Sono le piccole cose che nei ricordi diventano grandi,

Lo studiolo di Casa Sentiero

come la luce di queste sere nel piccolo studiolo di Casa Sentiero. Forse tra un anno dovrò lasciare questa casa in mezzo al bosco e così ogni tanto mi perdo ad osservarla cercando di imprimermi nella memoria le ombre che danno profondità alle stanze, il volume dei mobili - quasi tutti appartenenti già alla casa e ridistribuiti tra primo e secondo piano dopo averli rattoppati o aggiustati con amore.

Non ricorderò tutto, ma questo capita sempre. Eppure so che un giorno, in un attimo qualsiasi, un dettaglio affiorerà alla mia mente e io sospenderò lo sguardo nel vuoto cercando di afferrare il mistero e il calore di quella visione.

È successo con la casa della mia infanzia e succederà ancora: ogni tanto qualcosa risalirà a galla, mi mostrerà il suo tesoro e poi tornerà a scomparire negli abissi. Questi ritrovamenti fortuiti credo abbiano a che vedere con la magia che ci circonda, con quel tessuto invisibile dal quale emergono i nomi che diamo alle cose e su cui abbiamo ricamato i legami con le nostre famiglie terrestri. La mia famiglia sono gli alberi del bosco, i cani e i gatti che vivono con me, le oche selvatiche, come ha scritto la poeta Mary Oliver.

E poi c’è mio figlio, Giulio. Quattordici anni tra pochi giorni, ormai più alto di me (anche se ci vuole poco); un ragazzo pacato e gentile, ancora in bozzolo.

Sono curiosa di vedere che adulto diventerà, per ora non mi assomiglia. Non che questo sia un problema. Mi domando però cosa resterà di noi, di me e lui, con il passare degli anni. Ogni tanto viene a trovarmi in Appennino. Non ha l’età per apprezzare la quiete di questo posto, le sue luci tenui, i suoi profumi di legna o di una delle tante zuppe che spesso cuociono sui fornelli.

Mi chiedo se di questa casa si ricorderà quando sarà grande. Affioreranno in lui questi dettagli per me così preziosi? (Io ricordo, in inverno, di ritorno da scuola, il vetro appannato dal brodo che sobbolliva, nella casa della mia infanzia; uno dei ventitré ricordi che posso abbinare al senso di una casa felice). Immagino che non possa far altro che lasciar fare al tempo e consolarmi al pensiero che ogni persona abbia una memoria diversamente permeabile. Giulio di certo è uno smemorato, chissà se sarà anche un disattento. La cosa a volte mi crea tristezza e un po’ di sconcerto.

“E Bosco-Isola te lo ricordi? Quel posto che...” Gli mando via WA una piccola poesia che avevo scritto, al tempo, pensando a questo luogo per noi speciale:

É un posto che forse non noteresti

un’isola in mezzo ai campi

un bosco abbandonato

un luogo vivo

diventato il nostro giardino.

In mezzo agli olmi e ai pioppi

c’è perfino una casa

con ingresso, cucina, salotto,

bagno e camera da letto.

Tutto costruito dai venti, dalla pioggia

dai rami, dalle foglie e dall’edera.

Oggi abbiamo portato una mangiatoia

per gli uccelli.

La casa in cui abitiamo è di calce e mattoni

ma il nostro cuore è qui

a Bosco Isola.

Nessuna risposta. Le due spunte blu mi dicono che lo ha letto. Chissà se con attenzione.

Comunque qualche settimana fa è venuto a passare - sotto minaccia - un fine settimana qui con me in montagna. A tavola si parlava di scuola, tanto per cambiare. Pare che gli argomenti, quando hai un figlio maschio di quattordici anni, scarseggino soprattutto se le risposte, qualunque sia la questione, si riducono sempre a “Mmm, sì.” “Boh, direi di sì” “Non lo so” “Dai mamma!”... quindi per forza di cose finisci per parlare di scuola e siccome Giulio non brilla certo per impegno spassionato allo studio, la discussione si arena facilmente o prende una brutta piega.

Non so come però, durante quel pranzo, siamo finiti a parlare di spiritualità. Non vi aspettate grandi conversazioni, perché Giulio è rimasto fedele al suo essere un quattordicenne con la mente persa per i fatti suoi e poco desideroso di condividere con due adulti i suoi pensieri (c’era a tavola anche un mio caro amico). Dopo un paio di “Boh” gli è stata posta una domanda diretta da Tomaso:

“Giulio ma tu credi in Dio?”

“Mmmm, non lo so. Anzi no, io sono...sono...dai com’è che si dice?”

“Ateo?”

“No non è quello, sono...”

“Agnostico?”

“Ecco sì, quello.”

Dal vocabolario:

Agnostico: chi considera inconoscibile tutto ciò che non è possibile sottoporre a verifica sperimentale. Atteggiamento di chi non prende posizione in ambiti di vario genere, dalla fede religiosa alla politica o, scherzosamente, riguardo ad ogni attività che comporti una scelta. Nel linguaggio politico, quello che non assume una posizione definita rispetto ad argomenti etico-religiosi.

Ripenso a me quando avevo la sua età. A quattordici anni, nel giardino del nuovo condominio dove proprio quell’anno la mia famiglia si era trasferita, cercavo di vedere le fate e tenevo un diario dove immaginavo di incontrare Dorian Gray alla fermata dell’autobus. Ovviamente Dorian era innamorato di me. Frequentavo la parrocchia - dove tutti mi chiamavano “suorina” perché ero molto pudica, timida e diciamocelo, decisamente imbranata a relazionarmi con i ragazzi. Ricordo tuttavia che durante alcune messe riuscivo a sentire chiaramente accendersi in me il fuoco della preghiera. Don Maurizio mi aveva in simpatia, credo perché trapelava da me una sincera spiritualità. Ma aldilà del credo religioso, ho sempre prestato fede all’invisibile, perseguendo, devo dire, un certo panteismo.

Quando Giulio era piccolo parlavo con disinvoltura a lui di anima, di Dio, di creature silvane e di folletti; anzi c’era questo Splif, emerito folletto, che veniva a trovare Giulio con regolarità e, ogni mattina, poiché Gulio ha sempre detestato passare “da uno stato all’altro” (dalla veglia al sonno, dal sonno alla veglia, da dentro casa a fuori casa e viceversa) gli raccontavo infinite storie su Splif e sulla voglia che questo folletto aveva di incontrarlo, ma che per poterlo fare doveva prima superare un numero esorbitante di prove. Queste storie cucivano insieme i vari momenti della giornata di Giulio agevolandogli gli odiosi passaggi, anche se vi lascio immaginare che gioia fosse inventarsi una nuova avventura di Splif alle sette di mattina (Splif lasciava anche lettere e vari doni dal bosco).

Quando raccontavo di Splif pensavo a David Gnomo, cartone animato della mia infanzia

Giulio non si ricorda nemmeno di lui. Cosa è rimasto in dei nostri discorsi, delle nostre storie? Delle anime azzurre che discendono sulla terra, del racconto della sua nascita... insomma della magia?

Giulio non mi assomiglia e il suo definirsi agnostico potrebbe farmi perdere in un mare di tristezza.

Eppure mi sorprendo a guardarlo crescere, a prendersi la sua prima cotta per una compagna di classe, a incrociarlo per caso mentre torna a casa da scuola con un’amica: lei che getta la testa all’indietro in una risata sguaiata e lui che sorride guardando avanti (osservo tutto dall’auto certa che Giulio senza occhiali non mi vedrebbe nemmeno se gli camminassi ad un metro). Mi commuove leggere i temi che lascia distrattamente sulla scrivania in quella baraonda che è la sua camera. Giulio scrive molto bene. Forse è qui che è andata a depositarsi la magia. Forse qualcosa è passato. Nel setaccio brilla già qualche perla.

E se anche non sapesse scrivere, io aspetterei con fiducia, tenendomi stretta come un dono la curiosità di vedere questo ragazzo-fuoco accendersi e infiammarsi di vita. Forse la sua memoria non sarà permeabile come la mia, Splif sarà perduto per sempre e forse anche Bosco Isola, così come i libri letti insieme e con loro anche molte altre cose che pensavo essere importanti. Per chi? Per me. Giulio è un figlio della vita, così come scrive il profeta Gibran, e sta a lui scegliere la sua strada.

La magia e il mistero che albergano nella sua anima troveranno una strada per attraversare la materia? Chi lo sa. Forse Giulio è qui per sperimentare la disperazione di non saper o poter vedere l’invisibile, aspettando di ricongiungersi con il suo spirito a tempo debito. Forse sono io che sono qui per imparare attraverso di lui la disillusione e a restare comunque nell’Amore. Di certo la magia è intorno a lui e io spero che in una qualunque forma d’arte, Giulio possa percepirla e da lì spiccare quel balzo verso la sua anima.

So che parlare di anima oggi è quanto mai fuori moda, ma esiste nelle mie tasche una manciata di sassolini invisibili che aspettano il vostro chiaro di luna per brillare.

Intanto venerdì 28 febbraio sarà luna nuova: è la notte giusta per credere in ciò che non si vede.


Dove ti conducono oggi i miei sassolini:

In questa Sassolini troverai la seconda parte di questa lunga riflessione su Incantamento e Mistero. Credevo di cavarmela dividendo il mio scritto in due parti, ma ahimè, non ce l’ho fatta. Del resto ormai mi conosci e pare anche che dal sondaggio ti piaccia leggermi, quindi grazie e porta pazienza!

Oggi potrai immergerti nella lettura di cosa sia per me la magia. È un articolo denso e, oserei dire, potente. Mi farebbe davvero piacere se volessi lasciarmi un tuo commento. Io ti leggo sempre. Sono in ritardo con le risposte ai commenti degli articoli precedenti, ma ho letto e riletto tutte le vostre riflessioni e prima o poi troverò un tempo quieto per rispondere a tutti. Come sempre grazie per la cura, le parole... la magia che affiora da questi nostri dialoghi.

Ti lascio anche questa volta una bibliografia semplice che possa portare a te e ai tuoi giovani lettori la magia della parola esatta. Questa volta ho pensato di dedicare un libro a ciascuna fascia di età; troverete dunque un libro per Il lettore acqua, per Il lettore terra, aria, fuoco e... albero!

So che Il Lettore Albero - che non corrisponde all’elemento legno, il quale nella simbologia orientale è associabile all’aria - ti incuriosisce e ti interroga, ma abbi fede, prima o poi il percorso di formazione del Lettore Elementale si chiuderà e potrai scoprire cosa intendo per Lettore Albero, ovvero colui che legge “in memoria del fuoco”, che abbandona ogni scopo leggendo per puro piacere, perché sa abbracciare l’inutilità della letteratura e sta quindi imparando a leggere... un albero! e a sentirsi parte del mistero dell’esistenza. Ops! Ecco trapelato qualche indizio.

Oltre all’articolo e alla bibliografia inedita, in questa Sassolini troverai:

  • una citazione che sicuramente conosci, ma che forse non conoscevi davvero

  • una triplice dedica: una canzone, un brano musicale e un film da vedere

  • uno sconto speciale del 20% per il mio corso online “Il perturbante”

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Buona lettura!


La perdita dell’innocenza e la ricompensa dello spirito - seconda parte

Illustrazioni di Lorenzo Mattotti

(…) Ma una cosa è certa: il tempo dell’incantamento deve finire perché solo così potremo far posto alla magia in prima battuta, e poi al mistero, il vero signore dell’invisibile. Potremmo dire che l’incanto sia un suo importante messaggero: un tempo propedeutico alla potenza di ciò che non conosce confini e che apre le porte a quella sospensione che si fa ambiguità, a quella conoscenza che accoglie il paradosso, che è, in ultima analisi, la più alta forma di sensibilità.

Il bambino viene in contatto con il mistero perché esso è sempre parte della nostra esistenza e di quella di tutte le cose, ma poiché il mistero è un sentire che passa per le maglie della coscienza, prima che il bambino ne diventi consapevole o trovi le parole per provare ad esplicitarlo a se stesso e agli altri, occorre che la coscienza prenda atto di sé.

L’incantamento è una condizione più congeniale all’infanzia proprio perché necessita di confini e di un rapporto stretto con ciò che è tangibile: porticine degli elfi, pupazzi che ci custodiscono e ci amano, sassi che diventano amuleti, figure come Mary Poppins o il topolino dei denti, vivono e si vivificano grazie al fatto che una parte della loro essenza è infusa e percepibile negli oggetti e nelle situazioni più quotidiane. Certo, le cose più straordinarie accadono quando abbiamo gli occhi chiusi o siamo girati dall’altra parte, ma questo è proprio il patto: il margine tra realtà e fantasia è poroso ma non oltrepassabile.

La sua permeabilità consente poi un’altra deroga importantissima: l’incantamento è narrabile, quindi trasmissibile e condivisibile con le parole, ed è giocabile, il bambino può cioè trasmutarlo in azione ogni qual volta vorrà attingere da quell’immaginario per mettere in moto la propria fantasia.

Il mistero non consente nulla di tutto ciò: il mistero è incomunicabile, è una condizione intima, segreta, personale; il mistero non è giocabile, su nessun piano. È così astratto - sebbene quando lo avvertiamo sapremmo collocarlo nel cuore che si espande e si dilata - che può essere detto solo da chi possiede il dono dell’arte. È la forma d’arte che lo rende veicolabile, che gli dà un corpo senza tuttavia renderlo del tutto terreno.

Nel linguaggio letterario la forma d’arte è la prosa o il verso.

La parola è il mezzo, la creta, attraverso cui si può dare voce al mistero, così come le note sono la materia per la musica. In verità ogni singola parola contiene in sé il mistero della creazione, il suono primigenio che nomina la natura e le cose. Quale abisso insondabile si spalanca nella parola albero!

Da dove viene la parola albero? Certo possiamo ricostruirne l’etimologia e rimanere già grandemente affascinati da quel piccolo seme germinante, da quella matrice che riesce a unire suono, significante e significato; ma il mistero permane. Com’è che quel suono - spesso un singolo fonema - ha iniziato a significare per molti che quel soggetto vivente composto da radici, tronco e chioma, potesse essere chiamato albero?

Sebbene la parola sia così pregna di mistero, se parliamo di scrittura letteraria come una forma d’arte non possiamo che considerare quella forma come un insieme di parole, siano esse organizzate in versi o in prosa. Ma se il mistero è incomunicabile, come può passare per la scrittura ? E una volta passato per quella forma, perché torna ad essere incomunicabile?

Facciamo un passo indietro e restiamo ancora sulla parola, perché la parola è anche il mezzo della magia.

Spesso l’incantamento viene confuso con la magia. Potremmo forse addirittura definire l’incantamento una forma di magia, ma se parliamo di bambini e di infanzia, mi piacerebbe, per il tempo di questo articolo, che provassimo a tenere separate le due cose. Chissà, potremmo ritrovarci in tasca grandi tesori.

Partiamo da qui: se l’incantamento deve avere un nesso forte con la realtà, la magia crea la realtà.

La parola è la forma più antica di magia.

“Ogni volta che un bambino dice: “Io non credo alle fate, c’è una fatina che da qualche parte cade a terra morta.”

Così scrive James Matthew Barrie nel suo celebre romanzo “Le avventure di Peter Pan”. Basta una parola per uccidere una fata: si potrà certo sempre battere le mani per farla resuscitare, ma è la parola pronunciata, è quel credere o meno che salva o condanna.

La magia si avvera quando creiamo la realtà nominandola e pronunciandola, quando con la parola cambiamo la percezione che abbiamo del mondo che ci circonda. Credere a Babbo Natale diventa vero quando, svelato l’incantamento, decidiamo di trasformare ciò che è diventato calcolabile, misurabile e verificabile, in una visione. Quando l’incantamento cessa, può arrivare il tempo della magia. La magia, come il mistero, è una dimensione dello spirito oltre che della coscienza, e non è una dimensione consona a tutte le persone: c’è chi crede a Babbo Natale e alle fate per tutta la vita e chi no. Ci sono gli atei, gli agnostici e ahimè, i cinici. Ogni anima viene qui per sperimentare il proprio rapporto con la materia, e in quest’ottica anche l’ateismo e l’agnosticismo sono una vocazione, e sono funzionali ad una determinata persona per apprendere qualcosa. Non ci sarà educazione o protezione famigliare che tenga: alcuni bambini, finita la fase dell’incantamento - una fase che può avere diverse sfumature, dalle più fantasiose alle più concrete, ma che tutti i bambini attraversano - smetteranno di credere nell’invisibile.

Ma è importante ricordare una cosa riguardo la prima infanzia, qualcosa che parte potrebbe consolare chi tra voi leggendo la mia ultima affermazione ha provato un forte senso di scoramento o frustrazione: la nostra esistenza non procede mai per compartimenti stagni. La magia viaggia, ugualmente al mistero, insieme a noi fin dall’inizio. È la coscienza che trasformandosi, fiorendo - perché raramente durante l’infanzia, e solo a fronte di molto male, la coscienza non fiorisce - riesce via via ad accogliere un grado di complessità maggiore, a decidere mentre diventa più consapevole, come interpretare il mondo, abbracciando o meno ciò che non è tangibile o verificabile. L’incantamento è più semplice della magia e la magia è più immediata del mistero. Ma tutti e tre questi livelli di compenetrazione della realtà, i quali conducono il nostro spirito verso l’Amore e verso l’Uno, sono sempre a nostra disposizione, e sebbene la mente possa governare potentemente la percezione dell’invisibile, le porte d’accesso restano spalancate per l’anima di chiunque.

E ora una domanda difficile che forse aleggia intorno a noi quando ci addentriamo in questi argomenti sottili:

Credere e percepire l’invisibile ci rende persone migliori?

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