Le cose non accadono mai per caso
o almeno, io penso sia così. È un po’ la storia dell’uovo e la gallina: chi è nato prima? Siamo noi che ponendo attenzione su determinati aspetti riusciamo con maggiore facilità a legare più elementi insieme, o sono davvero le cose che si contagiano tra loro in base all’energia che mettiamo in circolo? In ogni caso credo sia sempre una sorpresa e una consolazione sapere che, in un modo o in un altro, il tessuto della realtà respira, si dilata e si restringe intorno a noi, facendoci sentire parte di un sistema più vasto. Ed è straordinario come siano sempre le piccole cose a comunicarci il mistero di questo accadere: un oggetto, due parole, un profumo, un sogno, un abito, il colore del cielo.
Bentrovata, cara lettrice. La Candelora è passata da poco più di una settimana e non ci sono ormai molti dubbi sul fatto che il bosco si stia risvegliando. Mi commuovono profondamente i canti serali degli uccellini, questo loro cinguettio verso le sei del pomeriggio, che ricama il cielo color carta da zucchero tipico di febbraio, con le sue limpide stelle che lievitano svelte tra i rami ancora nudi del tiglio e dell’acero. Questo canto mi tocca il cuore con un mistero che non so dire.
Allora lascio la parola al poeta:
Il venditore di stoffe
ha steso la sua seta migliore.
L’orologiaio ha messo a punto
gli ingranaggi dei suoi
uccellini d’oro.
Lo speziale ha mescolato
le sue essenze più preziose.
È sera nel mio giardino.
Dora Lupe
Di questo mistero di cui non sappiamo dire, ma che viene portato a noi dal potere della parola, che sia essa poesia o narrativa, vorrei iniziare a parlarti per tracciare un sentiero che possa condurti alla letteratura e al suo potere di comunicarci l’invisibile.
È un argomento ampio, sottile ed estremamente fragile a causa dell’appiattimento dei significati che sperimentiamo nella nostra quotidianità, invasa com’è da una scrittura al servizio dei contenuti e quindi sempre più funzionale, superficiale, immediata.
Grazie allo scambio con una lettrice ho potuto riflettere a lungo su come oggi la parola mistero generi nell’immaginario comune un corto circuito con la parola magia e incantamento, anche se, a ben guardare, incantamento è un vocabolo molto poco usato nonostante la sua potenza evocativa sia altissima e la sua precisione rispetto a certi stati d’animo tipici dell’infanzia ineguagliabile. Ma non voglio anticipare troppo.
I “Sassolini” di febbraio saranno dunque dedicati al mistero, alla magia e all’incantamento
e oggi inizierò parlandoti proprio di incantamento, e ti lascerò in regalo una bibliografia esclusiva dedicata solo a te, cara lettrice, affinché tu possa immergerti in letture che ti portino ancora a sperimentare, sebbene in modo diverso, quel particolare stato di sospensione che hai forse vissuto e sperimentato da bambina.
In più, troverai uno sconto speciale per il mio corso “Il perturbante”, nel caso in cui decidessi di approfondire questo e altri aspetti legati al mistero nella letteratura (non solo per l’infanzia).
Ma perché iniziare questa lettera parlandoti di coincidenze? Certo, le coincidenze hanno molto a che vedere con il mistero, ma non è solo per questo.
Ho iniziato a scrivere l’articolo sull’incantamento una settimana fa. Giovedì mattina, in libreria, è entrato un bambino di circa quattro anni, con la sua mamma e la sorellina di due mesi addormentata nel passeggino. La mamma mi ha subito interpellata chiedendomi se avessi il libro di Pinocchio.
Le ho quindi mostrato l’edizione che più amo: “Le avventure di Pinocchio” illustrata da Lorenzo Mattotti, edita da Bompiani.
Il numero di pagine non l’ha spaventata, ma mi ha chiesto se il libro fosse adatto al suo bambino, molto appassionato del film di Walt Disney. Le ho parlato allora della lingua di Carlo Collodi, della sua penna e della qualità della sua prosa, delle differenze tra il libro e il film e le ho spiegato che, molto probabilmente, il suo bambino non avrebbe colto subito tutti gli aspetti della storia, ma che avrebbe certamente potuto godere di una lettura ad alta voce. Ho anche sottolineato che la fiducia che il genitore ripone nel bambino e nell’impresa gioca sempre un ruolo importante.
Nel caso in cui poi il libro non avesse riscontrato il successo sperato, la rassicuravo sul fatto che un romanzo come Pinocchio sa godere di lunga vita tra gli scaffali di una libreria domestica. La mamma, essendo molto convinta fin dall’inizio, decide dunque di acquistarlo. A quel punto si rivolge a Cesare e con aria felice gli pone la fatidica domanda: “Allora lo prendiamo il libro di Pinocchio?”
Cesare fissa per un secondo il libro in mano a sua madre, quindi, guardando dritto davanti a sé come se proprio lì, di fronte a lui e a tutte noi, ci fosse una giuria pronta a dargli ragione, stringe i pugni inizia a tremare forte, cercando di contenere la fatica e l’emozione di quanto stava per dire. La rabbia mescolata alla delusione gli stavano facendo ripetere più volte la sillaba che apriva la sua arringa e io, con il fiato sospeso, ho temuto fosse sul punto di piangere. Invece Cesare si è concentrato e ha parlato:
“Io io io voglio comprare Pinocchio”
La mamma che nel frattempo si era chinata per supportare quel momento difficile, che con molta probabilità preludeva ad una piccola tragedia, ha risposto prontamente:
“Infatti, tesoro, stiamo comprando il libro di Pinocchio”
“No, io voglio Pinocchio il burattino”
Sentendomi chiamata in causa non solo come libraia ma anche come giocattolaia - per giunta sprovvista di burattini - mi sono permessa di intervenire:
“Mi spiace, ma io non vendo il burattino di Pinocchio, però se un giorno andrai a fare una vacanza in Toscana che è una regione d’Italia...” ( giuro che l’ho detto... e mentre lo dicevo - con quella lucidità che ci coglie solo nei momenti in cui sappiamo perfettamente di dire la cosa più sbagliata dell’universo - pensavo a mio figlio che a quattordici anni non sa nemmeno dove stia di casa la Toscana) ”Ecco, lì vedrai che vendono tanti burattini di Pinocchio.”
E la mamma realmente stupita mi guarda e mi chiede: “Davvero?” (ed è forse è stato a questo punto che la giuria invisibile convocata da Cesare ci ha condannate senza possibilità d’appello) “Ci siamo anche stati in Toscana ma non mi ricordo di aver visto dei Pinocchi...Ah! ma forse...ah sì sì in effetti , in qualche negoziet...”
“Io voglio Pinocchio che mi parla”
La giuria ha battuto il martelletto e noi adulti non abbiamo potuto fare altro che restare in silenzio.
Ecco cos’era il turbamento che avvertivo! Fin dalla sua prima risposta, qualcosa dentro di me aveva intuito che non mi trovavo di fronte ad un capriccio, ma ad una richiesta più che legittima. Ed era questa sua sensatissima richiesta, la ragione del mio imbarazzo e del perché mi fossi messa a disquisire di regioni con un bambino di quattro anni.
Ora comprendevo bene cosa nella reazione di Cesare mi avesse disorientata e disarmata: nel suo sdegno all’idea di acquistare il libro al posto di Pinocchio, c’era qualcosa di serio e profondissimo, un desiderio potente che pretendeva di essere rispettato ed esaudito.
Perché lui, Cesare, era entrato in libreria con il preciso intento di portarsi a casa Pinocchio in carne ed ossa - anzi no! tutto di legno, come Geppetto lo aveva fatto - e Pinocchio avrebbe parlato con lui perché questo chiaramente faceva con tutte le persone che incontrava.
La mamma guardava un po’ me e un po’ suo figlio, con un sorriso che rivelava quanto adesso fosse difficile rispondergli. Cosa dire?
Come mantenere intatta la sua immaginazione e allo stesso tempo fargli capire che ciò che lui desiderava con tanto ardore e serietà non era possibile?
La risposta, ahimè, mi è venuta solo molte ore più tardi; quindi quello che segue è il racconto fedele del disastroso tentativo della sottoscritta di risolvere con presunta saggezza adulta, una questione niente affatto risolvibile sul piano della ragione.
“Ma dentro al libro troverai proprio Pinocchio, è lì che puoi sentire la sua voce.”
“No. Io voglio Pinocchio che parla con me.”
“Ma tu gli puoi già parlare. Hai a casa dei pupazzi con cui parli?”
“No”
“Ma sì che parli sempre con i tuoi pupazzi...” lo incoraggia la mamma che pare apprezzare la mia strategia.
“E sono certa - proseguo - che loro ti rispondano e che tu senta la loro voce e sai bene cosa ti dicono”
Cesare mi guarda come se stessi blaterando la cosa più scema del mondo.
“Sono sicura che se leggerai questo libro, Pinocchio sarà accanto a te, perché sai, Pinocchio vive dentro la sua storia.“ (E mentre lo dico mi vorrei prendere a pedate, perché è chiaro che sto esprimendo dei concetti difficilissimi per un bambino di quattro anni e che mi sto palesemente arrampicando sugli specchi pur di consolare Cesare).
Cesare resta in silenzio ed è chiaramente afflitto e arrabbiato.
La sorellina nel passeggino inizia a strillare forte (forse a sentire le mie idiozie ha pensato bene di intervenire). La mamma comprende che il tempo in libreria è ormai scaduto, e con quel lampo di genio di cui solo l’istinto di sopravvivenza è capace di illuminarci, pone a Cesare la domanda risolutiva:
“Allora lo lasciamo qui il libro, ok?”
Davanti a questa prospettiva, Cesare decide che non sarebbe uscito da questo negozio, dove era certo gli avessero detto che avrebbero comprato Pinocchio, senza portarsi a casa nulla. Vuole il libro. Così, mentre la mamma cerca invano di consolare la neonata, si dirigono tutti verso la cassa, e nel delirio generale, con Cesare ancora visibilmente scosso ma con il suo libro di Pinocchio in mano, salutano ed escono.
Nel pomeriggio, mentre guido in direzione dell’Appennino e ripenso a Cesare, a Pinocchio e all’articolo che sto scrivendo, vengo colta da un’illuminazione.
Ecco quale sarebbe stata la risposta giusta!
“Mi spiace Cesare, non posso venderti oggi Pinocchio; era qui fino ad un attimo fa, ma poi gli ho dato due soldini e l’ho mandato a fare la spesa.”
Punto.
Se qualcuna tra voi ora si ritrovasse però a pensare che l’immaginario di un bambino possa essere andato in frantumi a causa di una libraia maldestra e poco accorta, vi lascio alla lettura di questo articolo che ho finito di scrivere, con molto cuore, la sera di quel giovedì, non fosse altro per redimermi nei confronti di Cesare, di Pinocchio, e di tutte voi.
Le cose non accadono mai per caso.
Buona lettura!
Prima viene l’incantamento
Sono molto fortunata: essere in dialogo con le mie lettrici mi ha permesso di creare un legame basato sulla fiducia che porta sulla mia soglia molte domande. Bussano piano, con discrezione, si tolgono il cappello e chiedono permesso.
Io le faccio accomodare e loro diventano ospiti silenziosi, dai “piedini di nebbia”, come si legge nella bellissima fiaba “La guardiana delle oche alla fonte” nella raccolta dei Grimm.
Sono per lo più inquiline invisibili, le domande, solo ogni tanto si palesano, e mi fanno compagnia. Ma io so che ci sono e per questo le penso, le custodisco come la lista della spesa in attesa del giorno di mercato, e mentre le penso mi sembra di imparare a conoscerle, di definire i contorni, loro e miei, perché la risposta, ovvero la cena con la quale le congederò, deve essere gradita ad entrambe. L’articolo di oggi è la cena che ho preparato per la domanda di Manuela.
“Ma oggi, com’è possibile coltivare il Mistero nei bambini perché possano perderlo il più tardi possibile o addirittura possano non perderlo mai... seppur credendoci in forme diverse?”
Questa domanda ha bussato alla mia porta il giorno dell’Epifania, è stata pertanto l’incenso della festa perché ha profumato a lungo le mie stanze, e oggi a pochi giorni da Candelora è arrivata per me l’ora di sedermi con lei alla stessa tavola e spezzare il pane di questi giorni insieme.
La domanda è arrivata accompagnata da un pensiero più ampio che, in particolare, riguardava Mary Poppins. Ve ne riporto uno stralcio.